La crisi dei Choke-Point
Guerre e cambiamento climatico mettono a rischio la globalizzazione
0331 44.60.00
info@vectorspa.it
.

Fin dall’antichità, i mari sono considerati la più grande via di comunicazione, commercio e scambio del mondo. Negli anni, con lo scopo di efficientare le rotte e minimizzare i tempi di transito, l’umanità ha investito notevolmente per la realizzazione e/o il controllo di vere e proprie scorciatoie, denominate choke-point.

I "choke points", detti anche “punti di soffocamento” o “colli di bottiglia”, sono passaggi di mare obbligati attraverso cui le navi devono transitare: la loro sicurezza è fondamentale per garantire la continuità e il corretto funzionamento del commercio marittimo mondiale.

I choke points marittimi maggiormente strategici per le rotte commerciali sono otto:

  • lo Stretto di Malacca, nel sud-est asiatico,
  • lo Stretto di Hormuz, fra Golfo Persico e Golfo di Oman,
  • il Canale di Panama, che taglia in due l'America centrale,
  • il Canale di Suez, che collega il Mediterraneo con il Mar Rosso
  • lo Stretto di Gibilterra, di passaggio tra il Mar Mediterraneo e l'oceano Atlantico,
  • gli stretti del Bosforo e Dardanelli, che permette il collegamento tra Mediterraneo e Mar Nero,
  • lo Stretto di Bab al-Mandab, tra Mar Rosso e Golfo di Aden,
  • il Capo di Buona Speranza, sulla punta meridionale dell'Africa.

Esistono poi numerosi choke points secondari, tra cui lo Stretto di Sicilia, fondamentale per la strategia geopolitica italiana nel Mediterraneo.

Dal Settecento il controllo di questi canali era detenuto dall’Inghilterra, la cui flotta era la più potente al mondo e aveva basi e colonie ovunque per potersi muovere velocemente e sfruttare al massimo le risorse degli Stati sotto il suo controllo.

Dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, tuttavia, il controllo dei choke points è passato agli Stati Uniti, diventati una potenza globale grazie alla capacità di dominare mari e oceani. Gli Stati Uniti detengono anche una posizione ottimale per controllare i choke points, dal momento che si trovano tra Asia ed Europa e si affacciano sugli oceani più vasti del mondo. Il compito principale ricoperto dagli Stati Uniti consiste nell’assicurarsi che i trasporti marittimi internazionali siano il più possibile sicuri e protetti, naturalmente senza trascurare i propri interessi. La posizione di controllo ricoperta dagli Stati Uniti d’America fa sì che la libera navigazione ed il libero commercio siano garantiti, consentendo dunque allo stesso tempo la globalizzazione. 

Attualmente, a causa della situazione geo-politica e del cambiamento climatico,  il mantenimento dell’equilibrio tra le oltre 100.000 navi da carico che viaggiano nel mondo è in crisi. Ormai, 4 degli 8 choke points primari sono caratterizzati da crisi del trasporto navale e dei traffici marittimi: il conflitto tra Russia ed Ucraina ha infatti coinvolto la zona del Mar Nero, territorio conteso, con importanti conseguenze sul commercio e sulle spedizioni marittime soprattutto relative al grano di provenienza ucraina. La guerra ha danneggiato il normale funzionamento del commercio navale attraverso lo stretto del Bosforo e lo stretto dei Dardanelli, che collegano Mar Nero e Mar Mediterraneo.

Successivamente, anche il canale di Suez e lo stretto di Bab al-Mandab sono stati coinvolti da un conflitto, quello nel Medio Oriente. In quest’area gli Houthi, un gruppo armato dello Stato dello Yemen, stanno attaccando ripetutamente imbarcazioni dirette in Israele: questi attacchi hanno indotto un profondo sentimento di timore nelle imbarcazioni commerciali civili anche non legate ad Israele, le quali hanno preferito rivedere le proprie rotte preferendo vie più sicure anche se più lunghe. Ha preso sempre più piede la scelta di circumnavigare il continente africano, comportando però un prolungamento di 2 settimane di viaggio, con conseguenze gravi relative a costi di trasporto e, di conseguenza, prezzi dei beni. In questo modo è stato colpito il 10% del commercio mondiale e i porti del Mar Mediterraneo, tra cui quelli italiani, rischiano di essere esclusi dalle rotte commerciali. Tutto questo danneggia anche i porti italiani, i quali rischiano di essere esclusi dalle rotte commerciali.

L’altro choke point danneggiato in questi ultimi tempi è il Canale di Panama, il passaggio artificiale che divide in due l’America Centrale e che collega l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico, consentendo alle navi di evitare di dover circumnavigare l’America del Sud per passare da un oceano all’altro. Da qui passa il 5% del commercio globale e coinvolge soprattutto le merci in arrivo ed in partenza dagli Stati Uniti. La crisi di questo canale non è legata alla guerra, bensì ai cambiamenti climatici: infatti, per funzionare il canale prevede un sistema di dislivelli e di fuse che sfrutta il pompaggio ed il rilascio di acqua dolce, reperita da un bacino di laghi e corsi d’acqua circostanti. La siccità record sta però rendendo questo sistema insostenibile e ha portato il governo di Panama a bloccare sempre più navi (da 36 a 24 al giorno, fino ad arrivare a 18). La conseguenza principale è rappresentata da un ritardo nelle spedizioni marittime e, dunque, un aumento dei costi di trasporto.

La siccità ha molteplici cause scatenanti, come il fenomeno ciclico “El Nino” che nel 2023 ha causato una diminuzione delle piogge pari al 40%, oltre ad un aumento delle temperature medie. Il trend generale però è sicuramente legato ai cambiamenti climatici globali. E’ stato calcolato che il passaggio di una singola nave da un oceano all’altro comporta il consumo della quantità d’acqua che consumerebbero 500.000 panamensi in un giorno, e oltre la metà di essi riceve acqua dalle stesse fonti impiegate per far funzionare il canale. Dunque,  è indubbio che ci sia un conflitto tra le esigenze della popolazione e quelle commerciali: la perdita di questo choke point danneggerebbe lo stato economico di Panama e dei suoi residenti, in quanto questo tipo di commercio rappresenta il 6% del PIL del paese.   

Questa situazione critica ha spinto il governo panamense a ricercare possibili soluzioni, come un nuovo bacino artificiale da realizzare sul fiume Indio. Si tratterebbe tuttavia di un progetto molto costoso e dannoso per l'ambiente e le persone, costrette ad abbandonare le case. Alternative più immediate sono legate alla possibilità di percorrere rotte alternative, ma con conseguente aumento di costi, tempi ed emissioni di gas serra: alcuni esempi potrebbero essere il ritorno alla circumnavigazione dell’America del Sud, oppure la decisione di trasportare le merci via terra.

In ultima istanza, il progressivo riscaldamento globale potrebbe in futuro sbloccare la via artica, che rivoluzionerebbe completamente il commercio globale e i trasporti marittimi.          

Questo scenario rischia dunque di causare un aumento dei prezzi dei beni che vengono acquistati quotidianamente, oltre a portare ad una rivoluzione del concetto di globalizzazione e ad un ripensamento degli equilibri geopolitici del commercio mondiale.

Dimensioni schermo non ancora supportate